In altre parole: #Pietà

Sono stato invitato a partecipare alla rubrica “In altre parole” di Francesca Santucci. La parola che ho scelto è: “Pietà”.

Articolo originale

«Ora che ci penso, che strano effetto mi faceva stare accanto a quell’uomo; ero lì, che moriva un amico, e non provavo alcuna pietà. Mi pareva felice, Echecrate, sia dal suo modo di fare che da come parlava: c’era in lui una nobile e intrepida fierezza, tanto da farmi pensare che egli se ne andava non senza il soccorso di un dio e che, nell’al di là, sarebbe stato il più felice di tutti. Ecco perché, forse, non provavo quella pietà che pure sarebbe stata così naturale in tanta sventura».

Platone, Fedone, trad. di M. Valgimigli, Laterza, 2000.

[…]

Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: “O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!”.
81

Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate;
84

cotali uscir de la schiera ov’è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido.
87

[…]

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.
102

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
105

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.
Queste parole da lor ci fuor porte.
108

Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso,
fin che ’l poeta mi disse: “Che pense?”.
111

Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!”.
114

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: “Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
117

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?”.
120

E quella a me: “Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.
123

Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
126

Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
129

Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
132

Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
135

la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”.
138

Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse.
141

E caddi come corpo morto cade.

Dante, Divina Commedia, canto V, Inferno.

LA TERRA DI LAVORO

[…]

E ti perdi allora in questa luce
che rade, con la pioggia, d’improvviso
zolle di salvia rossa, case sudice.

Ti perdi nel vecchio paradiso
che qui fuori sui crinali di lava
dà un celeste, benché umano, viso

all’orizzonte dove nella bava
grigia si perde Napoli, ai meridiani
temporali, che il sereno invadono,

uno sui monti del Lazio, già lontani,
l’altro su questa terra abbandonata
agli sporchi orti, ai pantani,

ai villaggi grandi come città.
Si confondono la pioggia e il sole
in una gioia ch’è forse conservata

– come una scheggia dell’altra storia,
non più nostra – in fondo al cuore
di questi poveri viaggiatori:

vivi, soltanto vivi, nel calore
che fa più grande della storia la vita.
Tu ti perdi nel paradiso interiore,

e anche la tua pietà gli è nemica.

Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, 1957.

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